Kounellis | Warhol.
La messa in scena della tragedia umana: la classicità di Jannis Kounellis e il pop di Andy Warhol.
Kounellis | Warhol.
La messa in scena della tragedia umana: la classicità di Jannis Kounellis e il pop di Andy Warhol.
Ben lontani dal voler
ridurre i due maestri dell’arte contemporanea a una
medesima matrice e respingendo ogni sovrapposizione
che possa appiattirne la singolare identità,
l’esposizione si presenta come un’occasione di
riflessione critica su Jannis Kounellis ed Andy
Warhol, con le loro differenze ideologiche ed
estetiche, ma anche con le loro tangenze culturali e
comune tensione nei confronti della potenza e del
mistero della spiritualità.
Il progetto espositivo in Galleria Fumagalli include
anche un importante approfondimento presso il Museo
San Fedele di Milano che ospiterà dal 12 dicembre un
inedito dialogo tra l’opera permanente di Jannis
Kounellis allestita nella cripta (Senza titolo,
Svelamento, 2012) e un’opera di Andy Warhol in
prestito per l’occasione.
La mostra sarà arricchita da un’estesa pubblicazione
che raccoglie contributi critici e memorie personali
di importanti autori quali, fra gli altri, Andrea
Dall’Asta SJ, Demetrio Paparoni, Gianni Mercurio,
Gerard Malanga, Lóránd Hegyi, Luca Massimo Barbero,
Franco Fanelli, Annamaria Maggi, Maria Vittoria
Baravelli, Sandro Barbagallo, Massimo Recalcati.
Il volume si correda di un significativo apparato di
immagini fotografiche autoriali e sarà presentato
dopo l’apertura della mostra.
KOUNELLIS | WARHOL
La messa in scena della tragedia umana:
la classicità di Jannis Kounellis e il pop di Andy Warhol
da un’idea di Annamaria Maggi
Press preview martedì 25 novembre, ore 10:30 - 14
Inaugurazione mercoledì 26 novembre, ore 17 – 21
Fino al 29 maggio 2026
GALLERIA FUMAGALLI
Via Bonaventura Cavalieri 6, Milano
Maria Chiara Salvanelli | Press Office & Communication
Maria Chiara Salvanelli | mariachiara@salvanelli.it | cell + 39 333
4580190
Anna Chiara d'Aloja | annachiara@salvanelli.it | cell +39 329 3961225
Jannis Kounellis (Il Pireo, Grecia, 1936 – Roma, 2017) e Andy Warhol
(Pittsburgh, Pennsylvania, 1928 - New York, 1987) hanno segnato in modo radicale
il loro tempo, lasciando un’impronta profonda nella storia dell’arte. A un primo
sguardo, sembrano incarnare due archetipi inconciliabili: l’alfa e l’omega di
due visioni artistiche, due concezioni della realtà che si sono confrontate e,
talvolta, scontrate. Le loro traiettorie si sono sviluppate in parallelo, ma in
universi quasi distinti: Jannis Kounellis immerso nell’ombra e nel peso della
materia, Andy Warhol nell’abbaglio fluorescente della superficie dell’immagine.
Oggi, a distanza da quel contesto storico e in un periodo in cui si sono
dissolte le ideologie, appare fecondo creare un dialogo tra questi due maestri,
non solo per metterne a confronto le differenze ma soprattutto per analizzare le
radici comuni di quella grande energia che ha animato un periodo irripetibile
dell’arte contemporanea, nonché sondare quel terreno comune da cui scaturì
quella straordinaria stagione.
Entrambi sono espressione dell’Occidente e si sono sentiti figli di due città
che, a buon diritto, possiamo chiamare “caput mundi”: Roma, per Kounellis,
nell’antichità e della cristianità; New York, per Warhol, capitale
dell’immaginario globale nel dopoguerra e motore del capitalismo. Ma entrambi
mantengono un legame profondo con le radici orientali e le tradizioni spirituali
delle loro terre d’origine: la Grecia ortodossa e mediterranea per Kounellis, e
quella Slovacchia cattolica e dalle influenze bizantine che permea l’infanzia di
Warhol.
Chiunque si accosti oggi al loro lavoro si imbatte in una parola tanto
ricorrente quanto insidiosa: icona. Una parola che rischia di diventare una
trappola semantica, svuotata di significato dall’uso eccessivo. Tutto è
“iconico”: ogni volto, ogni oggetto, ogni immagine. Ma per Kounellis e Warhol,
l’icona non è un semplice oggetto di culto mediatico, essa mantiene, pur in
contesti esplicitamente profani, una tensione verso il senso assoluto.
In Kounellis, questa tensione si manifesta attraverso un’estetica della materia
che incorpora gli oggetti del lavoro, i materiali poveri, gli elementi primari:
ferro, carbone, lana, sacchi di iuta, fiamme. La sua è una liturgia laica, anzi
materialista, un rito tragico in cui il dolore del mondo trova espressione nella
materia stessa. Alla Galleria Fumagalli sono esposte alcune delle sue opere,
strutture in ferro su cui poggiano ora sacchi pieni di carbone, ora cappotti
compressi, ora capelli trafitti da lame: oggetti veri che portano la traccia
dell’esistenza umana, della sua quotidianità e delle sue fatiche.
Nelle opere di Warhol il dramma umano si nasconde dietro i simboli del consumo e
della celebrità come nelle lattine di zuppa Campbell o nei volti di Marilyn e
Jackie Kennedy, donne che celano con la bellezza il loro dolore: sono tutte
immagini dietro alla cui superficie patinata si cela un’intima spiritualità, un
senso del tragico che trasforma quelle figure in icone moderne. Alla Galleria
Fumagalli sono esposte opere delle serie “Knives” e “Shadows”, che evocano la
caducità e la fragilità della vita. In mostra anche alcune polaroid, uno dei
mezzi espressivi preferiti da Warhol proprio per l’estemporaneità di
realizzazione e la capacità di generare un diario visivo di icone della
quotidianità.
Kounellis è stato un intellettuale, ateo e marxista, legato a una visione
politica del mondo e della storia; Warhol era ambiguo, dissimulato, restio a
parlare di sé stesso, profondamente religioso, eppure icona pop. Entrambi, a
modo loro, si sono rivolti alla massa, al popolo, agli emarginati. La bellezza
che emerge dai loro lavori è tragica, ma mai disperata: è la bellezza di ciò che
resta, di ciò che sopravvive al disincanto della Storia e del consumo. Ed è
forse in questo terreno comune — la tragicità del quotidiano, l’universalità del
materiale e la rigorosa etica dell’artista — che si può trovare la chiave per un
dialogo possibile tra i due artisti.

