La nuova GAM 4.0
Processo di riqualificazione e rigenerazione della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
Il Piano Strategico che la Fondazione Torino Musei ha avviato nel 2024 presenta un lungo e articolato capitolo, ambizioso quanto necessario, denominato La nuova GAM 4.0 ovvero il grande processo di riqualificazione e rigenerazione della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea.
La nuova GAM 4.0
Processo di riqualificazione e rigenerazione della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
L’obiettivo è quello
di ripensare e riposizionare la GAM a livello
internazionale e di riaffermare il ruolo e il
prestigio del più antico museo d’arte moderna
nazionale, con un percorso che riprenda e attualizzi
lo spirito d’avanguardia che ne caratterizzò la
nascita e che ne fece un raro esempio sul piano
internazionale, proiettandola nel futuro.
Innovazione e
avanguardia rappresentano il filo conduttore che
guida questo ambizioso progetto, riprendendo e
facendo evolvere quello spirito innovativo e
avanguardista che ha caratterizzato la nascita del
Museo e l’ideazione dell’edificio. Sostenibilità
ambientale e risparmio energetico, innovazione
architettonica e tecnologica, attuazione di nuovi
modelli di fruizione museale rivolti al pubblico di
domani nel fondamentale segno dell’inclusione e del
ruolo sociale del museo.
Grazie al supporto di
Fondazione Compagnia di San Paolo e della sua
partecipata, la Società Prisma, e con il contributo
del Back Office Cultura Centro Conservazione e
Restauro “La Venaria Reale” (CCR) si sta procedendo
con il lancio del Concorso internazionale di
progettazione, finalizzato alla realizzazione per
lotti dell’intera riqualificazione.
L’intero progetto richiede importanti risorse, e la
sua realizzazione non può essere portata avanti
senza il fondamentale contributo del Ministero della
Cultura oltre che dei Soci fondatori della
Fondazione Torino Musei.
L’avvio del progetto
avviene grazie al supporto ideativo e finanziario
della Fondazione Compagnia di San Paolo, che, oltre
all’esecuzione della prima parte dei lavori con il
Lotto Zero, che oggi presentiamo, sosterrà la
progettazione dell’intero restauro e parte
dell’investimento complessivo.
A partire dunque da
questo primo intervento di riqualificazione
denominato Lotto zero, la nuova GAM ha l’ambizione
di assumere il ruolo di esempio di museo del futuro.
Spesso in arte e in architettura le traiettorie
verso il futuro sono percorsi simmetrici verso la
conoscenza del passato e per Gordon Matta Clark,
artista con una formazione da architetto, disfare è
un atto democratico tanto quanto fare.
Alla GAM si è quindi
lavorato per sottrazione, cercando di liberare
l’edificio originale dalle aggiunte che si erano
accumulate nel corso degli anni: strati di intonaco,
cartongesso, controsoffitti, impianti in disuso. Un
intervento che ha coinvolto una superficie di 3200
mq nel pieno di quel “fare di più con meno” che è un
imperativo etico ed ecologico.
Nel foyer è stata
razionalizzata l’organizzazione di biglietteria e
guardaroba per restituire allo spazio il respiro
originario. I pilastri, che negli anni erano stati
intonacati o inglobati in strutture di cartongesso,
sono stati liberati e stonacati, riportando alla
luce il calcestruzzo bocciardato che si vedeva nelle
foto del 1959, quando la Galleria d’Arte Moderna
appena inaugurata era un riferimento di avanguardia
architettonica museale in Europa. Altri cartongessi
sono stati rimossi dalle vetrate del vano scale, per
farlo intravvedere, rendendo l’atrio più luminoso.
Gli arredi originari, come le sedute fatte produrre
dai progettisti appositamente per l’auditorium,
disperse negli anni in diversi uffici comunali, sono
stati restituiti al loro luogo d’origine.
La visione che ha
guidato la Direzione del museo e lo studio PAT.
Architetti associati è stata quella di rendere
l’intero piano terreno – e il giardino – un luogo
aperto e vivo, a cui si possa accedere anche senza
biglietto. Si è lavorato con un occhio al passato e
uno al futuro, dando spazio a tecnologie
multimediali per comunicare al meglio le numerose
attività della GAM.
La strategia di
rimozione, anticipata nel foyer si manifesta in modo
più compiuto nel secondo piano del museo, che riapre
al pubblico dopo sei anni. La chiusura era stata
determinata da problemi di infiltrazioni, già
risolti, mentre restava da affrontare un problema di
sfondellamento dei solai in laterizio. Intervenire è
stata l’occasione per rimuovere il carabottino
(controsoffitto a griglia) in alluminio che dagli
anni ‘90 ingabbiava quei soffitti la cui
conformazione è il tratto distintivo del museo:
l’inclinazione di tetto e pareti perimetrali era
stata progettata per poter consentire
l’illuminazione naturale delle gallerie dall’alto.
Una concezione all’avanguardia, purtroppo
compromessa da carenze realizzative: le coperture
trasparenti furono sostituite con pannelli ciechi e,
con l’introduzione dei controsoffitti grigliati e di
contropareti perimetrali a mascherare nuovi
impianti, si perse ogni traccia della spazialità
originaria. Erano state chiuse anche le vetrate sul
perimetro, eliminando gli affacci verso il giardino
e la città – elementi fondamentali per prevenire
quella che in linguaggio scientifico si chiama
museum fatigue. Le rimozioni operate hanno permesso
di svelare i soffitti della galleria, rendendone
leggibile l’articolazione, di restituire le aperture
verso l’esterno e di rimettere in comunicazione le
due maniche parallele, ricreando una zona di riposo
a due arie, con affacci a Est e Ovest, come già era
presente nel progetto degli anni ’50.
L’intervento ha reso
nuovamente fruibili 1200 mq di spazi espositivi, un
bene quanto mai prezioso perché la città possa
godere di opere troppo spesso relegate nei depositi.
È proprio in questo senso che il secondo piano della
GAM si è arricchito del Deposito Vivente, una
sezione dove, riutilizzando le griglie provenienti
dai depositi della Galleria, alcune opere sono allo
stesso tempo conservate ed esposte: un gesto fondato
sulla circolarità che valorizza un bene pubblico in
tutte le sue componenti, tanto di infrastruttura
quanto di patrimonio artistico.
Con la PRIMA RISONANZA ha preso forma, dal 15 ottobre 2024, l’avvio del
grande progetto di rilancio e riqualificazione della nuova GAM –
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, con la
direzione di Chiara Bertola.
La nuova stagione espositiva ha preso il via con il parziale
rinnovamento degli spazi espositivi e di accoglienza al pubblico: è
stato completato il Lotto Zero, l’anticipazione del più complessivo e
ambizioso progetto di totale riqualificazione della GAM e dell’edificio
che la ospita, che intende rilanciare il museo proiettandolo verso il
futuro e a offrire un’esperienza di visita ancora più inclusiva e
innovativa.
Il completamento di questa prima fase anticipatoria dei lavori di
rigenerazione del museo ha permesso la riapertura, dopo sei anni, del
secondo piano dell’edificio, valorizzandone la struttura originaria con
gli ambienti pervasi dalla luce naturale e la ristrutturazione del foyer
e dei laboratori del Dipartimento Educazione, che sono stati trasformati
per ampliarne gli spazi, restituire l’apertura verso il giardino e per
favorire l’accesso e la sosta dei visitatori.
Il Lotto zero è stato progettato insieme allo studio PAT. Architetti
Associati ed è stato realizzato grazie al fondamentale sostegno di
Fondazione Compagnia di San Paolo e con il supporto di Secap SpA,
l'impresa di costruzioni che ha eseguito i lavori.
La GAM presenta anche una nuova identità visiva, realizzata da Studio
Fludd.
Il nuovo allestimento delle collezioni, curato da Chiara Bertola, Elena
Volpato e Fabio Cafagna, è pensato in dialogo con le tre grandi mostre
dedicate ad altrettante artiste di primo piano nel panorama
internazionale - Berthe Morisot, a cura di Maria Teresa Benedetti e
Giulia Perin (dal 15 ottobre), Mary Heilmann, a cura di Chiara Bertola
(dal 30 ottobre) e Maria Morganti, a cura di Elena Volpato (dal 30
ottobre) – generando così una polifonia i cui temi portanti sono la
luce, il colore, il tempo. Fuori da un preciso perimetro cronologico, le
opere risuonano le une accanto alle altre, consentendo l’affioramento di
affinità e tensioni spesso inaspettate.
Al secondo piano il pubblico potrà scoprire inoltre il Deposito vivente,
un display che, emulando un deposito museale, consente di fruire di un
ambiente densamente abitato dalle opere e in continua trasformazione.
Ad aprire altre possibilità di interpretazione è anche l’“intruso”,
l’artista Stefano Arienti, chiamato ad intromettersi all’interno delle
collezioni e della mostra dedicata a Berthe Morisot. Il suo intervento
consiste soprattutto nell’integrazione di opere e oggetti negli ambienti
della mostra, per rievocare l’atmosfera domestica dei soggetti proposti
dagli impressionisti. In questo modo l’intrusione di Arienti crea degli
inciampi, interrompendo la narrazione precostituita e destando
l’attenzione del visitatore.
LE COLLEZIONI
Luce, colore, tempo
PRIMO E SECONDO PIANO
a cura di Chiara Bertola, Elena Volpato, Fabio Cafagna
La GAM rinnova l’allestimento delle sue collezioni, arricchite nel tempo
anche grazie alla Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris e alla
Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, con un percorso
espositivo che si articola attraverso il primo e il secondo piano
dell’edificio.
Il nuovo allestimento, ideato in sintonia con le mostre della
programmazione autunnale, si articola in quindici sale.
Il percorso di visita parte dal secondo piano. Il visitatore,
immediatamente, è invitato a entrare nel Deposito vivente. Il progetto
di questo primo spazio ha previsto il denudamento di alcune pareti
-attraverso la tecnica dello stripping - per mostrare gli originari muri
inclinati dell’edificio concepito da Carlo Bassi e Goffredo Boschetti
nel 1959. Riemerge così lo scheletro originale della Galleria e quella
sua peculiare qualità architettonica, brutalista, per anni rimasta
celata. Nel Deposito vivente trovano spazio, collocati su scaffali,
griglie e talvolta nelle loro casse d’imballaggio, dipinti, disegni e
sculture che, in più di un caso, non si mostravano al pubblico ormai da
tempo.
A seguire una sala di riposo, inondata dalla luce naturale come nel
progetto originario del 1959, accoglie arredi, sculture e dipinti della
prima metà del Novecento. Questo ambiente, immaginato come un momento di
decantazione, è la premessa a un ordinamento giocato sulle relazioni,
risonanze e attrazioni tra opere e nuclei tematici di cronologie anche
molto distanti.
Ogni sala è il capitolo di un racconto, con la propria narrazione e i
propri personaggi. Ad accumunare le storie sono i motivi tratti dalla
poetica e dalla pratica delle tre artiste che con le loro mostre,
animano gli spazi della GAM: Berthe Morisot e la sua pittura ariosa,
intrisa di luce; Mary Heilmann e il suo approccio non ortodosso alla
forma e al colore, Maria Morganti e la sua metodica e lenta ricerca sul
tono cromatico. Sala dopo sala, le opere sono allestiste a risuonare le
une accanto alle altre. Un ambiente, con opere di Gastone Novelli,
Achille Perilli, Alberto Burri, Cy Twombly e Franco Vaccari, è dedicato
a quelle sperimentazioni segniche degli anni Cinquanta in cui i muri si
trasformano in palinsesti di vita vissuta.
Nella sala successiva i muri delle città lasciano il posto al paesaggio
antropizzato delle campagne. La monumentale Semina di Pedro Cabrita Reis
è posta in dialogo con una selezione fotografica di malinconici campi
arati di Mario Giacomelli, mentre la mitologia del viaggio costituisce
il tema portante della sala seguente in cui si confrontano opere di
Massimo d’Azeglio, Otto Dix, Osvaldo Licini e Luigi Ontani.
I trapassi cromatici, atmosferici e stagionali aggregano le opere di
Luciano Fabro, Mario Reviglione, Medardo Rosso, Leoncillo e Leonardo
Bistolfi. Queste ultime allestite nel passaggio tra le due maniche del
secondo piano, in cui la luce naturale per anni schermata da muri in
cartongesso è ora libera di entrare. Nei due ambienti successivi, più
intimi e raccolti, sono alcune nuove acquisizioni a confrontarsi con
opere più conosciute delle collezioni museali. Le pennellate spontanee
di Bill Lynch si specchiano nelle nature morte di Filippo De Pisis; i
vapori pittorici di Michele Tocca nelle fotografie di Luigi Ghirri e nei
dipinti di Antonio Fontanesi.
Il secondo piano si conclude con una vivace e chiassosa vibrazione
cromatica, che vede fronteggiarsi la grande tela di Nicola De Maria
Regno dei fiori musicali. Universo senza bombe con le opere di Carla
Accardi, Lucio Fontana e Giuseppe Capogrossi.
Le risonanze continuano al primo piano, dove la presenza di un artista
contemporaneo, con la sua peculiare sensibilità, consente di rileggere
opere note, creando imprevedibili assonanze o contrasti visivi. Lorenza
Boisi e Stefano Arienti dialogano con Lorenzo Delleani, Enrico Reycend e
Mario Gabinio; Maria Morganti con la pittura veneta di Giacomo Favretto,
Guglielmo Ciardi e Tancredi Parmeggiani. La violenza cromatica di Pesce
Khete si confronta con il segno corsivo di Karel Appel e il vigore
espressivo di Pinot Gallizio. Mentre Luca Bertolo condivide il suo
spazio con Andy Warhol, Franco Angeli, Pino Pascali e Mario Schifano.
Non mancano ambienti scaturiti dal raffronto tematico: la ritmicità
cromatica di Piero Dorazio a confronto con quella atmosferica di Antonio
Fontanesi; la musicalità di Giuseppe Pellizza da Volpedo e Vittore
Grubicy De Dragon con le geometrie e la serialità di Giacomo Balla,
Sergio Lombardo e Robin Rhode. Infine, la città rutilante di Francesco
Jodice e quella patinata di Franco Fontana si animano alla presenza
delle opere di Salvatore Scarpitta, Giosetta Fioroni, Michelangelo
Pistoletto, Titina Maselli, Jessica Stockholder e Jannis Kounellis.
IL DEPOSITO VIVENTE
SECONDO PIANO
a cura di Chiara Bertola e Fabio Cafagna, con l’intervento di Stefano
Arienti
Il Deposito Vivente crea un contatto inedito tra il pubblico e la
collezione del museo, rivelando parte del vasto patrimonio artistico.
Questo spazio non è solo un luogo di conservazione, ma un ambiente
dinamico dove l’arte è presentata secondo mutevoli punti di vista e al
di fuori dei percorsi espositivi tradizionali. Accostando in modo
inedito alcuni capolavori della collezione a sculture e dipinti meno
noti, e per alcuni aspetti sorprendenti, le opere acquisiscono nuova
vitalità, stimolando interazioni e riflessioni critiche che sfidano le
gerarchie convenzionali.
Il Deposito Vivente permette ai visitatori di scoprire la dimensione
nascosta della GAM, rivelando come ogni museo sia un organismo vivo, in
costante trasformazione. Le opere sono visibili dal pubblico attraverso
uno sguardo dal di dentro, da dietro le quinte, così come sono abituati
a vederle gli addetti ai lavori: appese alle rastrelliere, allineate
sugli scaffali, custodite in casse, tutte cariche di un’energia
potenziale che le scelte curatoriali devono portare alla luce e far
parlare.
Il contrappunto tra il display delle sale, la studiata mise en scene di
mostra, e il giacimento grezzo delle opere, tipico invece degli spazi di
deposito, sarà un ulteriore modo di far conoscere ai visitatori la
macchina museale e gli innumerevoli modi in cui la GAM disvela il senso
di ciò che custodisce.
L’INTRUSO
STEFANO ARIENTI
Da un’idea di Chiara Bertola
L’Intruso è un artista o un curatore invitato in ogni Risonanza a
dialogare con le mostre e con le collezioni della GAM. La sua
“intrusione” sarà decisiva in ogni riallestimento delle collezioni e in
quel rimettere in moto traiettorie interpretative o tranquillizzanti
percorsi cronologici. Intrusione per elaborare una propria visione a
contrappunto e, insieme, a sostegno dell’organismo espositivo museale.
Quando si parla di intrusione si fa riferimento a una pratica in qualche
misura disturbante, nella quale qualcosa o qualcuno viene inserito o si
inserisce con prepotenza all’interno di un’unità dotata di equilibrio
proprio. Questa figura è destinata a creare degli inciampi al percorso
rassicurante del Museo. Sorprendere con display imprevisti e offrire
visioni inattese all’interno del palinsesto della programmazione e
dell’allestimento delle collezioni del Museo.
L’intruso sarà quindi invitato a ogni stagione espositiva per
scompaginare e ricomporre con ordini visivi imprevisti, per riaprire e
rimettere in moto tutte le relazioni spazio temporali all’interno del
mondo “congelato” del Museo. Rivedere allora il concetto di
conservazione e portarlo fino a coincidere con il suo contrario, il più
lontano possibile dall’idea di chiusura, di immobilità restando comunque
all’interno del museo.
Corredano il progetto i Quaderni dell’Intruso, generosamente offerti e
pubblicati dalla casa editrice Umberto Allemandi.
Stefano Arienti è il secondo Intruso, dopo il curatore Fabio Cafagna
nella mostra di Italo Cremona, chiamato a intervenire negli spazi delle
collezioni permanenti e della mostra dedicata a Berthe Morisot.
Per la prima Risonanza l’artista ha offerto il suo particolare punto di
vista nell’allestimento del Deposito Vivente intervenendo insieme ai
curatori nella selezione delle opere e sulla composizione del display
espositivo, e nella sala di riposo del secondo piano con l’opera del
grande tappeto, un esempio di manipolazione di un’immagine
caratteristica del suo fare: una fotografia dell’immagine di una
superficie d’acqua stampata su moquette, creando una sorta di trompe l’oeil
contemporaneo.
Infine è possibile scoprire alcuni suoi interventi sui tre piani del
museo, negli ambienti di passaggio che portano agli spazi espositivi, il
disegno su telo antipolvere di una grande montagna dorata al piano -1,
un grandissimo pioppo che sembra nascere dai pavimenti arabescati di
marmo al primo piano e due meridiane nelle due entrate del Deposito
Vivente al secondo piano.
L’intervento di Stefano Arienti si integra infine negli ambienti della
mostra di Berthe Morisot per evocare l’atmosfera domestica dei soggetti
proposti dagli impressionisti. Arienti riveste le pareti con carte da
parati e nastri d’organza a righe o fiori, tipici dell’epoca, e
introduce dettagli d’arredo come un pianoforte, un attaccapanni e una
bacheca con la frutta di Francesco Garnier Valletti proveniente dal
Museo della Frutta di Torino. I suoi “quadri di pongo” amplificano il
tocco sfuggente, frastagliato e imprendibile di Morisot, aggiungendo una
dimensione tattile inaspettata alla pittura impressionista. Un altro
tappeto trompe-l’œil di un grande prato soleggiato nella stanza del
giardino d’inverno, infine, illumina l’ambiente, ricreando lo spazio
ideale della pittura en plein air.
L’artista invita a riflettere sui temi della natura, della storia
dell’arte, dei valori luminosi e della riconversione auratica di
immagini paesaggistiche comuni e quotidiane. Partendo da oggetti
ordinari, Arienti li trasforma e li riconverte, rinnovando così la
riflessione sul loro valore pittorico.
Arienti si considera più pittore che scultore: lavora con le immagini e
definisce il proprio approccio come “pittorico”, pur senza dipingere nel
senso tradizionale del termine. Tuttavia, il suo lavoro si concentra
fortemente sui valori tattili della pittura. Interviene spesso su figure
dipinte o fotografate, “implementandole” o “aumentandole” con materiali
come plastilina, pongo e puzzle. Aggiungendo materia all’immagine,
Arienti la trasforma, rendendola più tangibile, vibrante e viva.