Matteo Costanzo - Nessuno è padre ad un
altro
Testo di Lorenzo Madaro
La ricerca di Matteo Costanzo viene continuamente nutrita da
contagi che discendono dagli ambiti più disparati della
comunicazione della realtà, attraverso la televisione,
internet, la carta stampata, di volta in volta meditata e
stratificata con lessici espressivi sempre differenti, ma
soprattutto formalizzata con linguaggi in grado di generare
interrogativi, interazioni e per certi versi anche
partecipazione. La trans-medialità infatti gli appartiene
intimamente, generando opere, strutture, azioni e più in
generale installazioni, capaci di porre questioni che
appartengono alla percezione dell’io e dell’altro, al
rapporto con ciò che è fuori da noi. Matteo Costanzo è
infatti un artista in grado di generare sogni, ma partendo
da un discorso stratificato che assorbe porzioni di realtà
attraverso un vero e proprio archivio. Anzi, per l’esattezza
Costanzo è un archeologo del nostro tempo, trascorre il suo
a osservare, a guardarsi attorno, a captare momenti, gesti,
visioni e momenti strabilianti della stretta
contemporaneità.
Questa mostra si concentra sulla produzione più recente ed è
un vero e proprio percorso per tappe, come le sale e i piani
che costituiscono il display espositivo, capace di suggerire
e poi esplicitare ciò che interessa intimamente all’artista:
il contesto. È questo il fulcro del suo discorso, è dal
contesto che riceve input generativi, è nel contesto che li
restituisce sotto forma di performance o di altre pratiche;
è nel contesto che si genera una trasmissione del pensiero
visivo e dell’immaginario concettuale alla base di questo
suo lavoro, che prende in prestito taluni paradigmi della
storia della performance con convinto impegno, generando poi
dispositivi profondi.
Sagome di varie dimensioni, installate a parete come a
formare un arcipelago di isole immaginarie, accolgono nelle
proprie viscere due schermi con altrettanti video
rintracciati da YouTube (archivio inesauribile del contesto
reperito da Costanzo), in uno c’è il video dell’ingresso a
Capitol Hill di un manifestante, sostenitore accanito di
Trump, vestito da vichingo, un passaggio cruciale della
storia contemporanea americana, nell’altro vi è il recupero
della statua del filantropo britannico Edward Colston. Ma
quelle sagome sono in realtà ulteriori display, dove si
stratificano immagini, allusioni, accostamenti
fantasmagorici tutti da rintracciare e decifrare, corpi,
luoghi, oggetti, elementi che costituiscono un puzzle
impossibile in cui tutto è parte integrante di un flusso
generativo. Il recupero compulsivo della cartellonistica, di
tutto ciò che concerne l’immagine stampata, è tra le
ossessioni primarie dell’artista. All’insegna di una
autarchia iconografica, l’artista ci guida verso un proprio
itinerario che fa i conti con l’immagine e la sua rottura, i
suoi guasti.
L’archivio di internet, per Matteo Costanzo, è una
inesauribile fonte per rintracciare video, materiali pregni
di senso, come la clip in cui Carmelo Bene al Maurizio
Costanzo Show pronuncia la paradigmatica frase “Bisogna
essere dei capolavori”. Bene, genio assoluto di complessità,
padre nobile di un immaginario non solo multiforme ma anche
sfaccettato, ci indica con questa frase il senso assoluto
dell’esistenza. Costanzo, prendendolo in prestito, cosa fa?
Concepisce un cut-up realizzato in found footage con spot
che ripetono ossessivamente quella frase. Come suggerisce lo
stesso artista, “lo slogan diventa un mantra”. A questo
lavoro in mostra si contrappone il video della green
performance, in cui Costanzo, assume le sembianze della
propria controfigura green. Vestendo un abito aderente
totalmente verde, rendendo invisibile la sua identità,
partecipando a una manifestazione di “invisibili” o – in un
altro contesto – sostituendosi all’Amleto felliniano o
personificando la scena finale della Dolce vita di Fellini
con Mastroianni come protagonista, il nostro invisibile eroe
compie gesti comuni o appartenenti alla storia del cinema,
con la stessa partecipazione, la medesima enfasi, annullando
totalmente la separazione tra arte e vita. Lo stesso ha
fatto nelle ultimissime settimane con Svuotare il mare, un
lavoro complesso andato in scena in un posto sintomatico
della storia contemporanea: Lampedusa. Concepito grazie al
sostegno di un crowfunding su Kickstarter. “Durante la
performance l’antieroe verde cerca invano di svuotare il
mare come un contemporaneo Sisifo, servendosi soltanto della
sua fatica e
di una bacinella per il bucato da 50 litri.
L’atto, assume un valore simbolico, apotropaico e ridicolo,
sottolinea non solo l’urgenza e l’immanenza di iniziare a
fare qualcosa (qualsiasi cosa) ma allo stesso tempo la
sottovalutazione del disastro e l’oscuramento da parte della
comunicazione contemporanea”.
La mostra evidenzia tutto questo, fa il punto non soltanto
sull’ossessione assoluta che il nostro tempo ci impone, ma
le rielabora, ci suggerisce che alla base di tutto c’è la
post-produzione, il ricircolo di suggestioni,
trasformazioni, metamorfosi vere e proprie, che appartengono
all’identità così come all’essenza di ciascuno. Matteo
Costanzo attraverso l’azione, la partecipazione, la
contemplazione attiva e il gesto ci indica tutto questo.
Matteo Costanzo - Nessuno è padre ad un altro
a cura di Lorenzo Madaro
direzione artistica_Andrea Giusti
graphic designer_Monica Simoni
TOMAV – Torre Moresco Centro Arti Visive
Moresco (FM)
In collaborazione con
Tomav Experience Associazione Culturale
Comune di Moresco (FM)
opening // sabato 26 novembre ore 17
finissage //domenica 29 gennaio 2023
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